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Fede di pane: cibo e religione

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Alimentazione e religiosità hanno interessato la vita dell’uomo sin dalla sua comparsa sulla Terra, soddisfano l’una i bisogni corporei, l’altra quelli dello spirito. E di spiriti appunto si componeva tutto il mondo primitivo: spiriti della natura, della caccia, del grano. In particolare, lo spirito del grano era rappresentato in forma antropomorfa e, questa sorta di dio-alimento, veniva poi consumato in famiglia dopo aver recitato precise formule, o offerto per propiziare il raccolto.

Queste pratiche si sono conservate nel corso del tempo e il mondo religioso ha progressivamente inglobato quello pagano. Il consumo e la produzione del pane, soprattutto in Calabria, sono accompagnati ancora oggi da riti di ringraziamento e preghiere: il pane deve stare appoggiato sulla tavola dalla parte piana, perché la parte tonda rappresenta il volto di Cristo; prima di infornare il pane le donne lodavano Dio, chiedevano al contempo al pane di lievitare bene e poi facevano il segno della Croce. Per cui, pane e religione sono strettamente interconnessi.

Numerosi sono in Calabria i “Santi del pane”: san Fantino di Tauriana, san Saba, san Nicodemo, san Leo, san Giovanni Theriste, tutti legati a miracoli del pane, ma pani votivi oggi sono offerti in alcune località calabresi anche a san Giuseppe e sant’Antonio. Curioso è il fenomeno degli ex-voto di pane. Gli ex-voto rappresentano la materializzazione della fede, sono sinonimo della controversa religiosità calabrese che, da un lato venera il santo per la grazia ricevuta offrendo un oggetto materiale, dall’altro incatena e punisce il santo se non concede la grazia. I fedeli stringono un patto con i santi: offrire devozione e ricevere la grazia. Gli ex-voto custodiscono e rendono visibile la richiesta; hanno forme diverse, ad esempio statuette a forma umana, a forma di organi guariti, oggetti d’infanzia, pani votivi. Sono offerti pani non solo buoni da mangiare, ma anche belli da vedere e utili a veicolare un messaggio.

Ma perché proprio il pane? Il pane era, per l’economia contadina cerealicola calabrese, un alimento prezioso, consumato quasi con devozione, anche se gran parte della popolazione non consumava il pane bianco e soffice ma pane scuro e durissimo, che i calabresi portavano sempre con loro durante viaggi e pellegrinaggi. Si consumava anche la pasta di pane attaccata alla madia, come ricorda Padula: “Con quella grattatura si fa la jumella, il colluro, due o tre pupelle”.

A San Giovanni in Fiore, si producevano e producono pupe di pane con i carboni agli occhi e i natalini, ossia pani votivi raffiguranti la sacra famiglia o Gesù Bambino al centro, che erano posti, la notte di Natale, sulla tavola imbandita, recitando preghiere e aspettando la nascita del Bambinello. In altri centri della Calabria, anche mostaccioli e “cuzzupe” in forma antropomorfa e zoomorfa sono considerati pani votivi, offerti non solo al santo ma anche agli ospiti. Il giovedì santo, in molte zone della Calabria, i “taralli di Pasqua” (fatti con una pasta di pane dolce) sono benedetti durante la Messa e poi distribuiti tra i fedeli. Al Santuario della Madonna della Patìa, tra Fantino e Caccuri, i pani votivi erano distribuiti dai graziati nel giorno della festa della Madonna, la prima domenica di settembre. L’ex voto, inoltre, non è solo emblema della grazia ricevuta, ma anche un modo per ringraziare il santo della sua costante protezione.

Articolo di Emanuela F. Bossa tratto da “Il nuovo Corriere della Sila” – Marzo 2016

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